mercoledì 28 marzo 2012

L’ISTERICO A METANO





L’Isterico a Metano

Fantaromanzo giovane e sinergico


Du’ righe introduttive
  

Ecco resuscitato, dopo un ventennio, il testo in origine pubblicato da Mondadori nella sua collana Strade Blu (1999). Le cose, dietro le quinte, andarono così: dopo aver scritto il libro, lo passai a zio Filippo che, come sempre, ci scaracchiò sopra dicendomi: Che cos’è, una commedia all’italiana?
  Poi il fato volle che, pochi giorni dopo lo scaracchio, ancora fresco sulla copertina del mio manoscritto, Edoardo Brugnatelli-sama, sommo editor mondadoriano, uomo di buon gusto e di buone letture, chiamò zio, chiedendogli: Hai qualcosa per me?
  Zio rispose: Certo.
  Zio si piegò a riccio, per quattro mesi, sul mio testo. Con lo scalpello lo trasformò in un’opera rococò e la consegnò a Mondadori. Senza farmi prima vedere il risultato, come nel più collaudato stile ziesco.
  Stampato, il libro uscì a nome filippo SCÒZZARI & nipote. Il mio nome di battesimo, per il quale nonno Pietro tanto si era dato da fare (da bravo siciliano aveva voluto perpetuare specie e nome), non serviva, almeno per i libri Mondadori. Quello di zio, ben più quotato, serviva.
  Brugnatelli definì il libro addirittura manifesto, e come tale avrebbe dovuto diventare almeno un best seller e dare vita a un paio di nuove religioni sanguinarie. All’atto pratico, però - zero promozione, se non un paio di brevi interviste presso radio condominiali -, vendette solo qualche migliaio di copie, per poi scomparire nel marasma di carta delle librerie, quindi uscire dalla produzione e andare al macero (poveri, innocenti alberi).
  Certo è che la notte in cui arrivarono le prime copie stampate alla libreria di via dei Mille a Bologna, e io vidi una torre quasi asinella di mortadelle (la copertina originaria scelta da Mondadori), arrossii di brutto. Da buon bolognese, la mortadella mi è sempre piaciuta di brutto.

Pietro Scòzzari
Okinawa, anno pestis cinensis 2020


“Lasciate ogni speranza di eticamente/politicamente corretto, o voi ch’entrate.”
  


Una dovuta nota per i lettori di oggi, che non hanno mai avuto prima L’Isterico a Metano fra le mani. Sono passati vent’anni dalla stesura del libro, dunque oggi molti riferimenti agli anni Novanta sapranno di modernariato. I più giovani fra voi non coglieranno certi riferimenti, trovandoli come allucinazioni di due tossici emiliani che parlano agli/degli alieni. Un certo aroma di dichiarata scorrettezza sociale pervade le avventure di Vanes/Leonardo, il protagonista ai limiti del bipolarismo. Egli incarna lo spirito di quell’epoca, quando ancora le cose, per non citare le persone, avevano nomi e soprannomi volutamente indelicati. Da lì a poco sarebbe arrivato l’immenso Borat, no surprise.



E-BOOK:






Pagina Fèssbokk:


L'interessante avventura del dopo-Mondadori attraverso il mondo parallelo di BookCrossing:








HAI FATTO IL MONDO?


Hai fatto il Mondo? è un'antologia di cronache del turismo organizzato narrate da un ex addetto ai lavori. Occasionale - quando le bollette imperversavano - accompagnatore turistico per circa un decennio, l’autore descrive una collezione di orrori nei quali è inciampato nel corso di una poco stimata carriera. Nel raccontare ha cambiato qualche codice fiscale: gli avvocati, è noto, non vivono di sola gloria.

HAI FATTO IL MONDO?


Introduzione

Cose turche
La prova del nove
Ruffiano
Lariam, come fosse acqua
Valigie
Ho fatto il Brasile
Amore proibito
Missione impossibile
Ghetti
Greggi

Glossario/gergario


Introduzione

  “A 21 anni ha visitato tutti e 196 i paesi del mondo: è record” - hanno titolato di recente alcuni giornali italiani per serve. E giù a narrare le incredibili avventure di una tardo-adolescente americana con i soldi, noia a carrettate, un account Instagram e un estremo bisogno di attenzione.
  A ventun’anni io avevo una malattia simile (esterofilia) ma sottozero soldi, pochissima noia e un estremo bisogno di fidanze. Instagram era fantascienza. Collezionavo fumetti, francobolli e sogni, ma già avevo gusti in quanto a ciò che avrei voluto conoscere e quanto no. Ricordo che non sarei andato in Polonia - allora per me simbolo massimo di tristezza e grigiore applicati alla vita terrena - nemmeno per tutto l’oro del mondo, ma anche che sarei andato a casa della prima mulatta brasileira pagando tutto l’oro del mondo (che non avevo). Fuori dai sogni, già andare a San Marino era un esborso da valutare seriamente, figuramose a San Paolo o a San Blas. Allora erano i mitici anni Ottanta, in cui la pecunia circolava solo per alcuni socialisti e, nonostante io non fossi iscritto al partito, iniziai a viaggiare seria(l)mente alla fine dei medesimi grazie alle monetine raschiate dal fondo del barile. I quel periodo prendere aerei era ancora un lusso per pochi, in cabina venivi intossicato dai tabagisti e viaggiare poteva darti sensazioni epiche quasi marcopoliste. Da allora sono passati trent’anni, eppure c’è ancora chi, nel 2019, trova cool collezionare visti di paesi fatti. Paesi dei quali, ovviamente, non si è capito un cazzo, avendovi passato un quarto d’ora netto. Ego da social, lo schifo massimo dei nostri giorni. Possibile che ancor oggi i media e chi li consulta trovino interessante i narcisismi collezionistici di una creatura privilegiata?

  Negli anni Novanta, abbassate un po’ di creste, viaggiare divenne un’attività più popolare. Sempre più compagnie aeree a impestare i cieli, le prime low cost - allora se ne parlava come di cose incredibili di altri pianeti più progrediti -, basta tabagisti in cabina. La mia voglia di esotismo era ai massimi livelli, ma non potevo dire lo stesso del mio conto bancario. Sopravvivevo grazie alle monetine datemi dagli editori in cambio delle mie foto e dei miei racconti, ma anche grazie alle donazioni di benedetti parenti partigiani. Come riuscire a viaggiare, meglio e di più, sullo sfondo di un desolante panorama economico personale?
..Voci di corridoio mi arrivarono alle orecchie. Perché non fai l’accompagnatore turistico? Viaggi e sei pure pagato per farlo. Altra fantascienza? Un po’ come fare l’attore porno, se ti piace tanto ma davvero tanto la ginnastica?
  Mi informai.
  Mi feci arruolare.
  Dopo un decennio, appena ho potuto, ne sono scappato.



  Per anni ho giurato che avrei scritto questa specie di libro solo quando mi avessero radiato dall’albo degli Accompagnatori Turistici o, per motivi di età e di logoramento testicolare, mi fossi ritirato dalla suddetta attività. È giunto il momento (no, non sono stato radiato). Baionetta in resta, dunque, un bel respiro, e via andare. All’attacco, si parte.
  Il magazzino cui attingere è colmo di scampoli: racconti di colleghi e di amici, servizi giornalistici, esperienza diretta sul campo, voci di corridoio captate nell’ambiente dei ‘tour leader’. Brevi flash attinti qua e là in una decina di paesi e che, spero, diano un’idea d’insieme, la mia, del vorticoso e malandato mondo del turismo organizzato.
  Cose turche, inedito, è una collezione di e-mail criptate ad amici in previsione di un loro viaggio da finti ricchi - Rolex sui polsini e servi terzomondisti ubbidienti a bordo - su un caicco turco. Il botta-e-risposta telematico con l’organizzatore turcomanno, mostruosamente esilarante - oltreché per il suo torturare la lingua italiana, anche per il suo modo filosofico di concepire il viaggio in barca -, la dice lunga su di loro e, soprattutto, su di Noi.
  Sette dei dieci racconti che seguono - uno per ogni anno di poco onorata carriera -, in parte inediti, in parte pubblicati su altri libri, sono ispirati alle mie (dis)avventure vissute scarrozzando gruppi di turisti nei quattro angoli del globo. Tutte stravere, ovviamente hanno imposto il cambio dei nomi dei personaggi principali e di qualche controfigura. Fra questi racconti, Ruffiano è la versione ampliata di Sou brasileiro?, in origine pubblicato su Tropico Banana (Feltrinelli Traveler, 2001). Conclude Greggi, partorito come trampolino di partenza per la sceneggiatura di un racconto a fumetti da farsi per la mano santa di Zio Filippo, in arte Scòzzari, se solo Zio Filippo non fosse così tremendamente pigro.
  Fasten your seat belts e buon viaggio. L’odio per il concetto di fare il mondo è incluso nel costo del biglietto (prezzo di copertina).






L’IMPORTANTE È MUOVERSI



Pubblicato nel 2006 dal tipografo Damoli, uomo della provincia veronese, uomo travestito da editore, su dritta del sommo Danilo Manera. Anticipo: 500 euro in contanti, in busta chiusa con una leccata, consegnatami brevi manu dall’editore-tipografo una bella sera a bordo tavola in un serissimo ristorante della provincia veronese (carne squisita, Amarone segagambe). Sul contratto, regolarmente stipulato, c’è scritto che l’editore, ogni anno, avrebbe dovuto farmi pervenire rendiconti e diritti d’autore ($) maturati. Voi li avete mai visti? Io no.


L’IMPORTANTE È MUOVERSI
sedici pezzi di/sul viaggio


Importante avviso ai consumatori

Uno - Missione impossibile
Due - Fuori di Carlostesta
Tre - Il francese e il generale
Quattro - Pasta al dente
Cinque - Cose turche
Sei - Gli acidi fanno male, figuriamoci ai tedeschi
Sette - Il mio cane
Otto - Ghetti
Nove - Ticket to the Moon
Dieci - L’uomo è una bestia
Undici - Tra le nuvole
Dodici - Peyotl
Tredici - Cenette al lume di candela
Quattordici - Formula uno
Quindici - Alpini e clarini
Sedici - Essere diversi

Glossario e ‘gergario’




A BREVE SU AMAZON



A SPASSO CON NINNI



A spasso con Ninni è il diario molto intimo di Yula, giovane baby-sitter scappata dalla campagna ungherese all’hinterland milanese. L’Italia è da sempre il suo sogno e Ninni il golden retriever che la accompagna nelle battute di caccia all’amore. In un intreccio di porno-fantascienza e di trombate realmente accadute nella storia delle trombate, la narrazione accompagna il lettore attraverso un crescendo di porcate fino all’ovvia, appiccicaticcia esplosione finale. Primo e molto probabilmente ultimo romanzo zozzo di Pietro Scòzzari, il libro non ha grosse aspettative di vincere il Premio Strega.





A spasso con Ninni

Romanzo rosa confetto zozzo



A Ninni,

cane umano,

molto più umano di tanti umani stronzi




Presto da qualche parte (NON Amazon, che lo ha bocciato in quanto considerato troppo zozzo) on-line





VIVA BRASIL!




Viva Brasil!” è un ritratto duro e autentico del Brasile, dove l’autore ha vissuto per oltre quattro anni nell’arco di un ventennio, prima e durante il governo di Lula. Diciotto racconti a cavallo tra follie religiose e follie sessuali, decadenza urbana e miserie umane, con una pennellata di humour e di amore sul tutto. “Viva Brasil!” è il ‘cugino cattivo’ di “Tropico Banana” e di “Brasile, País do Futuro”, gli altri due libri di Pietro Scòzzari dedicati al Paese sudamericano.





Dopo tante prodezze il nostro turista garantisce agli amici in patria di aver raggiunto la vera felicità, sostiene che la vita ai tropici è meravigliosa e che gli piacerebbe investire quaggiù i suoi risparmi e comprarsi una casetta vicino al mare per viverci con la sua negretta graziosa e compiacente, abbandonando per sempre il freddo e la neve e senza più vedere le persone educate, precise, calcolatrici e silenziose del suo paese. Cade insomma in un trance ipnotico, ed esce dalla realtà.
(Pedro Juan Gutiérrez, da Il Re dell’Avana)

Quasi tutti erano visibilmente meticci. Che il paese fosse povero non era una vergogna (nonostante in seguito avrei desiderato che si arricchisse). Supponiamo che fossimo pacifici, affettuosi e puliti. Era inimmaginabile che qualcuno nato qui volesse vivere in un altro paese.
(Caetano Veloso, da Verdade Tropical)

Il Brasile è il paese in cui lo scontro fra natura e ragione, come dice Leopardi, o tra memoria e innocenza, come dico io, mi è parso più evidente... Il paese dove mi è sembrato che questo scontro potesse trovare, non senza sofferenza, la sua soluzione.
(Giuseppe Ungaretti)


Travesti, trabalhador, turista
Solitário, família, casal
Todo mundo tem direito á vida
E todo mundo tem direito igual
(Lenine, da Rua da Passagem - Trânsito)

Eu não gosto do bom gosto
(Adriana Calcanhotto, da Senhas)

Quem gosta de miséria é intelectual
(Cidade Negra, da Voz do excluído - Enquanto o mundo gira)




INDICE


Avviso ai consumatori (introdução)


Parte prima - Foresta, anche senza alberi

Buona domenica
Finché la barca va
La gorda
Foresta di plastica
Daime
Gerusalemme non era in Palestina?

Parte seconda - Tribù

Grazie a chi?
Scimmie
Le Rosse
Una città davvero eclettica
Sem graça
Ho fatto il Brasile

Parte terza - Xibiu (Sezione hardcore - V.M. 18)

Nulla cambia
Irene
Birra volante
Vila Mimosa
L’ora del tè
Saverio, doido demais

Glossario e ‘gergario’




AVVISO AI CONSUMATORI
(Introdução, nonché captatio benevolentiae)


  Ho iniziato a frequentare e amare il Brasile nel 1989, inseguendo le note di Jorge Ben e i libri di Jorge Amado. Da subito, appena sbarcato a Rio de Janeiro, mi misi due fette di apresuntado sugli occhi e, inebriato da quel potente mix di odore di alcol del combustibile per auto, donne di bellezza sovrumana, musica pazzesca, cibi e luoghi esotici, inseguii solo ciò che volevo inseguire: a grande beleza. Per circa vent’anni lavorai gratuitamente come volontario autonominato portabandiera dell’ente del turismo brasiliano, lucidando dichiaratamente tutti gli ori e ignorando le molte magagne del Paese. Mitizzai la povertà, facile operazione intellettuale poco in sintonia con la vita sudata dei più. Da estrangeiro, viaggiando sulle note di Caetano Veloso, volai alto per un ventennio, in parallelo alle presidenze del ridicolo Sarney, del cocainomane Collor, dell’irrilevante Cardoso e, infine, del carismatico, rivoluzionario e illuso Lula. Illuso perché speranzoso di risolvere i profondi problemi del Paese e, soprattutto, perché fiducioso che la corruzione, cancro atavico in Brasile e in molti altri luoghi, non sarebbe appartenuta al suo partito e ai suoi uomini. La cronaca, dopo l’infatuazione da illusione di aver finalmente raggiunto il futuro - dal 1941 il soprannome del Brasile è País do Futuro -, ci racconta il contrario. Lula in galera, Bolsonaro - specie di figlio di Trump e Salvini in salsa tropicale, apparentemente uscito da una brutta barzelletta sui militari o sui gondolieri - al potere: sono tempi bui per il Grande Brasile. La sinistra, esterrefatta, globalmente - U.S.A., Italia, Filippine, Brasile, Ungheria - si interroga: dove abbiamo sbagliato? Possibile che la gente sia così stupida e non veda che ci battiamo per l’eguaglianza sociale, per dare una possibilità a tutti? La risposta della gente, stupida o meno, comunque votante, è puntualmente arrivata. Basta con le chiacchiere, basta con la delinquenza. Basta con il tutti. È l’ora di fare, di mettere mano alle rogne. Come? Attraverso gente che fa - o che almeno dà l’impressione di fare -, i vari Trump, Salvini, Duterte, Bolsonaro del mondo. In nome di Dio, facile complice silenzioso di molti individui inquietanti fin dai tempi di Adamo ed Eva. I nuovi ducetti sono persone che sanno parlare al popolo che lavora e che paga le tasse e che teme l’invasore diverso e che non ne può più dell’illegalità. Con il pugno di ferro, what else? I mariuoli capiscono solo quello, non l’aria fritta da congresso del PD/PT. Non le correnti interne, ma la corrente elettrica. Logica semplice ma efficace che, negli ultimi anni, dopo i buoni e bravi e belli Obama del mondo, ha premiato sempre di più alle urne elettorali, anche se i neoeletti sono kitsch che più kitsch non si può (Berlusconi docet).
  A questo punto, nel mio piccolo, mi rimangono due speranze: che la sinistra mondiale si risvegli dal coma, ritrovi la vista e sappia di nuovo cavalcare le grandi battaglie con più intelligenza e meno ingenuità (per non parlare dei fetidi protagonismi e dell’insopportabile arroganza da poltrona); che la violenza - parlata e applicata - dei neo-ducetti mi smentisca, e cioè che non generi ulteriore violenza. Temo, purtroppo, che non andrà così. La storia, notoriamente, adora ripetersi.
  Ciononostante, ho fiducia nel magico Brasile e, soprattutto, nella sua gente (quella buona). In Tropico Banana (Feltrinelli, 2001) scrissi: il Brasile, in senso positivo, è una droga, prima ancora che un Paese dai confini delimitati. È un luogo dell’anima, un mito idealizzato, uno spazio unico al mondo che ha la capacità di cambiarci, rigenerarci, renderci più allegri e di godere al meglio, se lo vogliamo, ciò che di buono la vita ha da offrirci. Dopo avervi messo piede la prima volta, di solito, non possiamo più farne a meno: dà assuefazione. Lo imporrei - assieme all’India, altro luogo dell’anima - a qualunque cittadino del primo mondo, specie se in terapia contro la depressione, quale tappa obbligatoria per la crescita/revisione mentale.


  Viva Brasil! è un collage di diciotto racconti e reportage di viaggio, scritti nel corso di molti anni - prima e durante il governo di Lula - , con ritmi narrativi e linguaggi differenti, macinati in un unico polpettone di parole apparentemente senza capo né coda. Così come il Brasile è un frullato di realtà diversissime tra loro. ‘Cugino cattivo’ dei miei libri precedentemente pubblicati sul grande Paese sudamericano, ne racconta follie religiose e follie sessuali, decadenza urbana e miserie umane, con una pennellata di humour e di amore (non sempre evidente, ma non per questo assente) sul tutto.
  Un avviso ai lettori brasiliani nazionalisti (tutti), quelli che si incollano al televisore appena c’è la seleção; a quelli che passano il tempo a lamentarsi del proprio Paese, ma che prendono fuoco, issando bandiere e barricate, non appena uno straniero osa fare altrettanto (il diritto di cronaca e di critica, credo, appartiene a tutti): per favore, non storcete il naso più di tanto se, nei miei racconti, maltratto il vostro a/dorato Paese. Io parlo male solo di ciò che amo (ciò che odio semplicemente lo ignoro), forse per l’utopia missionaria di cercare di migliorare ciò che già ha tesori. Sconfiggere il marcio, parlandone, per trasformare tutto in tesoro. In altre parole, lettori brasileiros, anche se vi potrà vagamente sfiorare l’anticamera del cervello che io sia l’ennesimo giornalista del primeiro mundo prevenuto, che ama dipingere il Brasile a suon di meninos de rua e favelas e piranhas - soggetti di cui sono inzuppati, innanzitutto, la vostra quotidianità, i vostri giornali e tv e libri e cinema; soggetti che vi hanno portato all’ultimo responso elettorale -, sappiate che non avete capito un bel nada. Io amo il Brasile. Se possibile, più di voi.
  I fatti narrati sono veri. Per evitare che qualche malintenzionato permaloso mi venga a suonare il campanello, ho cambiato i nomi di alcune persone. I campanelli, oggigiorno, costano.




 Il testo integrale del libro su:




CUORE PAZZO






CUORE PAZZO
Sistole in movimento



Perché

Uno - No money, no honey
Due - Amore familiare
Tre - Amore proibito
Quattro - Caccole di passione
Cinque - Luna di miele
Sei - Modelle e tucani
Sette - Irene
Otto - Catena di montaggio
Nove - Wolf
Dieci - Urla boscimane
Undici - Succhiaseppie



Glossario e ‘gergario’





Perché


  Fino a qualche anno fa ero un essere umano normale. Mi innamoravo a ogni morte di papa, venivo travolto dagli eventi, ne uscivo a pezzettini, ricominciavo daccapo. Come tutti, più o meno.
  Negli ultimi anni le cose sono cambiate. Sarà che i compleanni si accumulano, che ho passato troppo tempo in Brasile - terra in cui cinque sensi non bastano -, oppure che sono stato plagiato da una cara zia che vive di pane e sentimento. Comunque siano andate le cose, la dura realtà odierna è che sto vivendo una vita da Harmony®. Mi innamoro mediamente tre volte al dì, dopo i pasti. Con tutte le conseguenze del caso, solitamente disastrose. Spero che prima o poi mi passi, forse riuscirò ad avere una vita più tranquilla e felice. Per il momento, però, mi basta un battito di ciglia, un ancheggiamento più roteante della media, una pelle con sfumature vagamente fuori dalla tavolozza italiana standard. Ed ecco che perdo la testa. Più passa il tempo più vengo calamitato dalle donne esotiche, quelle di casa mia mi perdoneranno (non ho preconcetti in materia). Dev’essere perché sono esterofilo da sempre: se una gentildonna ha un taglio di occhi non omologato, un braccino storto, parla una lingua marziana e\o è gialla\verde\viola, comincio a viaggiare con la mente. Il cuore mi balla un samba, la sudorazione si apre come un rubinetto spannato, sento che gli occhi mi diventano liquidi e promettono cose sozze. Non ci posso fare nulla, è più forte di me. Sono un abatantuono contro il mio volere.
  Per mettere nero su bianco tutto ciò, e non dimenticarmi certe cosine quando la demenza senile mi avrà abbattuto, ecco questo mio Cuore pazzo (in origine matto, ma poi qualche amico specializzato in canzoncine nazional-popolari mi ha ricordato che gli avvocati costano), diario di memorie di diversi anni registrate in tre continenti, seguendo le montagne russe delle mie sistole & diastole. Undici racconti ambientati in una decina di paesi nell’arco di una ventina d’anni. Alcuni già pubblicati, altri inediti.
  Se appartenete a quella razza di lettori che ama catalogare tutto, vi facilito il compito preannunciandovi che tra le mani avete un libro dedicato al turismo sensuale. Nuova categoria, l’ho varata in questo momento, che ha come ingredienti di base un cuore estremamente sensibile al fascino femminile e un’ampia collezione di biglietti aerei.

  Spero che, oltre a farvi quattro risate, a fine lettura vi permetterà di darmi qualche saggio consiglio su come darmi una calmata. Prima che un infarto mi separi.




Grazie Gino!!!




VITA DA TOUBAB



Questo appartiene a un genere letterario più unico che raro: il libro-aborto. Nato-mai nato sull’orma del successo di Tropico Banana, lo proposi a Feltrinelli, ma il padre-padrone dell’Azienda era stizzito per aver tradito Fidel (Tropico Banana lo aveva voluto la sua somma editor, Valeria Raimondi, donna di buon gusto e di buone letture, ma la lettura approfondita del libro era sfuggita a Carlo Feltrinelli: con tutto quello che pubblicava mica poteva leggere tutto; una volta pubblicato, il dado era stato tratto, ma la coscienza politica ne risentì, e così le scelte editoriali a seguire). Dirottai la proposta su EDT, allora piccolo editore torinese che stava iniziando a fatturare cifre serie dopo aver vinto la lotteria (acquisito i diritti per la traduzione in italiano delle guide Lonely Planet). La casa editrice pubblica(va) un figlio minore, la collana Orme, dedicata alla scrittura di viaggio. Giuliana Martinat, donna di buon gusto e di buone letture, somma editor in chief acquistò al volo le mie cronache senegalesi. L’editore mi pagò l’anticipo pattuito e, addirittura, mi spedì a Gubbio a pre-presentare il libro ai venditori che, una volta stampato, lo avrebbero dovuto spacciare ai librai. Con tanto di prova di stampa della copertina.
I mesi passarono, il libro non usciva. Dal Brasile inviavo e-mail ricche di ? all’editor, seguite da inquietanti silenzi. Un brutto giorno, finalmente, si degnarono di rispondere:

Gentile Pietro,
mi scuso molto per averla fatta attendere.
Le riassumo brevemente le motivazioni che hanno portato EDT a non pubblicare “Vita da Toubab”.
Il suo testo è stato visionato dall’editore prima di andare in stampa, come del resto accade a molti testi, ed è stato allora che il suo lavoro è stato fermato e considerato non in linea con la collana.
L’editore ha sottolineato la fragilità dell’impianto narrativo e ha trovato il testo poco soddisfacente sul piano della scrittura e dei contenuti, con troppe situazioni ripetute e di poco interesse e descritte, a suo giudizio, con tratti a volte obbiettivamente razzistici e con un linguaggio datato.
EDT considera dunque nullo il contratto con lei precedentemente stipulato e le concede ampia liberatoria a pubblicare il suo libro con altro editore.
Le auguro una migliore fortuna per il suo lavoro e le porgo i miei più cordiali saluti.
Cristina Enrico


Cristina o Enrico? In ogni caso: mi dovevo essere sbagliato. Fino a quel giorno avevo pensato che gli/le editor, in una casa editrice, fossero stipendiati per prendere in considerazione le proposte di pubblicazione, leggerle, promuoverle o respingerle, a nome dell’editore (la –e finale è piccola ma fa una GRANDE differenza). E che, una volta stipulato un contratto, questo valesse. Non avevo preso in considerazione che le case editrici, anche quelle piccole,  funzionassero a compartimenti stagni, a comunicazione zero fra un reparto e l’altro. Per pura curiosità da serva, avrei voluto vedere quali casini orrendi scoppiarono all’EDT, quando l’editore Peruccio, un quarto d’ora prima di accendere le rotative, si degnò finalmente di leggere il libro. L’unico dispiacere da parte mia, in tutta questa avventura, è la lavata di testa che la brava Martinat deve aver subito per mantenere scrivania e stipendio. Editoria italiana, gran brutta bestia.





VITA DA TOUBAB

dal Senegal alla Guinea-Bissau in taxi-brousse


Introduzione

Dakar, bienvenue
Gorée, dov’è la festa?
Taxi-brousse I: Dakar-Saint-Louis
Saint-Louis
Taxi-brousse II: Saint-Louis-Kaolack
Kaolack, ovvero i bastioni di Orione
Taxi-brousse III: Kaolack-Ziguinchor
Ziguinchor
Taxi-brousse IV: Ziguinchor-Bissau
Bissau, città fantasma
Taxi-brousse V: Bissau-Ziguinchor
Casamance
Taxi-brousse VI: Ziguinchor-Kafountine
Kafountine
Taxi-brousse VII: Kafountine-Rufisque
Dakar, capolinea

Glossario e ‘gergario’



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versione cartacea: